Massimo Tagliata, tra tradizione e innovazione

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Virtuoso della fisarmonica, arrangiatore, produttore tra i più amati della scena pop italiana, Massimo Tagliata passa dal palco di Sanremo, dove ha accompagnato, con il suo ensemble Biagio Antonacci, ai laboratori artigianali dove mette le proprie conoscenze al servizio dell’ideazione di nuovi strumenti. Ma le sue radici culturali, l’universo sonoro dal quale continua ad attingere profonde fonti di ispirazione, è quello della musica da ballo, del liscio. Linguaggio che ha interpretato di recente all’interno del lavoro di Claudio Carboni e Riccardo Tesi, Un ballo liscio vol. 2, disco e concerto, dedicati alle suggestioni del ricchissimo patrimonio delle tradizioni della Regione.

Massimo, il tuo incontro con il liscio risale agli inizi della carriera.

“Si, lì, nelle balere, tra i danzatori che volteggiano tra valzer e mazurke ci sono le mie origini artistiche. Per me, come per tantissimi altri musicisti, quello è stato il luogo dell’apprendimento, della crescita culturale. Una vera scuola per chi, come me, non ha frequentato il Conservatorio. Lì ho imparato il mestiere”

Una passione coltivata sin da piccolo.

“Da giovanissimo. Mentre molti dei miei coetanei che volevano fare il ‘mestiere’ del musicista, sceglievano tra il rock e la musica classica, io vedevo nei grandi musicisti delle orchestre che si esibivano nelle sale i miei maestri. Artisti straordinari, capaci di attraversare i terreni più disparati, plasmavano con la loro tecnica ogni suono possibile. Una straordinaria apertura mentale che non ho trovato altrove”

Un mondo che adesso sei tornato a frequentare con Il Ballo liscio

“Nella vita ho fatto poi altro, ma la fisarmonica è diventata il mio strumento e le mie capacità, la mia formazione, la devo proprio alle balere. Per questo quando Claudio Carboni e Riccardo Tesi  mi hanno chiesto di curare gli arrangiamenti di Un ballo liscio vol. 2, è stato come tornare a casa. Dove tutto è cominciato”

Un repertorio, quello che avete scelto per Un ballo liscio molto vario.

“Si, la musica da ballo dell’Emilia Romagna è una meravigliosa esaltazione delle diversità, basta un fiume che divide due paesi a far si che il ‘liscio’ dei due luoghi abbia della differenze. È un fatto di influenze, noi abbiamo provato a disegnare una mappa che tenesse conto dei grandi classici, ma che offrisse anche la bellezza di una realtà ancora in molta parte inesplorata. Il disco è immaginato come un viaggio nei luoghi noti e meno noti della regione”

Quali consideri, nella musica da ballo dell’Emilia Romagna i tuoi maestri?


“Il mio primo riferimento è il Maestro Carlo Venturi, bolognese, scomparso nel 1986, un innovatore, ha cambiato la visione dello strumento. Io ho imparato moltissimo andandolo ad ascoltare, era un virtuoso. E poi Ruggero Passarini, che spesso viene ai miei concerti. E quando so che è in sala mentre suono, confesso che mi sento sotto esame. Ruggero ha avuto il merito di incantare il pubblico con poche note, bellissime. Ha tracciato una strada”

Di recente hai brevettato un nuovo strumento.

“La tradizione, per me, è vita, non deve essere pensata come puro sguardo rivolto al passato. E questo vale non solo per la reinterpretazione del patrimonio popolare, ma anche per l’evoluzione degli strumenti. Dopo anni di ricerca, insieme a Marco Fabbri, abbiamo brevettato il Fidharmoneon, una fisarmonica che ha il suono del bandoneon. Il viaggio continua, le musiche si intrecciano”

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Circa l'autore

Pierfrancesco Pacoda

Critico musical e saggista, si occupa in particolare delle relazioni tra il suono e le trasformazioni sociali. Ha curato i testi di Tòtt a Balèr, insieme a Paolo e Marco Marcheselli sulla vita e l'arte di Leonildo Marcheselli. Scrive sul Resto del Carlino

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