Paolo Fresu e i Casadei

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Dalle bande di paese alle balere, dalla musica suonata nei bar dopo una processione ai palchi del liscio, sino alla partecipazione ai grandi festival internazionali.

Succede, quando il protagonista di una delle storie più affascinanti della nuova musica italiana è Paolo Fresu, trombettista di prestigio internazionale, discografico, organizzatore di Time in Jazz che porta nella ‘sua’ Berchidda, il meglio della ricerca contemporanea, mescolando i linguaggi.

Una occasione per ascoltare Fresu che intreccia i suoi fraseggi con quelli del liscio è il concerto che farà insieme alla Mirko Casadei POPular Folk Orchestra al Teatro del Popolo a Concordia sulla Secchia (Modena) il 5 novembre.

Fresu, hai suonato al Festival Balamondo con l’Orchestra di Mirko Casadei. Come è nato il tuo rapporto con il liscio?

“Il liscio è stato un elemento centrale nella mia formazione musicale. Se non mi fossi esercitato, se non avessi imparato a eseguire alla perfezione polke, valzer e mazurke, imparando a entrare in sintonia immediata con le coppie che volteggiavano sulle piste da ballo delle balere,  non avrei definito la mia identità artistica. Per cui sono grato al liscio e aver suonato con Mirko il suo repertorio è stato affascinante ed è stato, soprattutto, un ritorno a casa”.

Ci spieghi?

“Io, poco più che bambino nel mio paese, Berchidda, volevo fare il musicista e l’unica maniera per imparare il ‘mestiere’ era entrare a far parte della banda del paese che, come tutte le bande, aveva un repertorio vastissimo, del quale il liscio era una parte importante. L’usanza voleva che, una volta finito il ‘servizio’ nella banda, ci si fermava nel bar della piazza. E lì si suonava per gli avventori, e li facevamo ballare proprio con la musica di Casadei. I successi del liscio erano perfetti! In poco tempo, se eri davvero bravo, il bar si trasformava in una balera”.

Da lì è iniziato tutto

“Si, perché era lì che nascevano quelle relazioni tra musicisti che ti permettevano poi di approdare negli ambitissimi gruppi di cover che avevano gli ingaggi per i concerti nelle piazze dei paesi, dove si tenevano le feste del Santo patrono. E in quelle occasioni bisognava far ballare per ore, alternando i successi di musica leggera del momento con i valzer del liscio. Quando sono riuscito a entrare in uno di questi gruppi, ho avuto la sensazione che la musica sarebbe stata la mia vita”.

Come è successo?

“Si, e di questo sono davvero debitore al liscio e al repertorio di Casadei, suonandolo ho imparato quello che mi avrebbe permesso di fare il musicista. Per cui quando Mirko mi ha invitato a unirmi alla sua POPular Folk Orchestra, ho sentito che un cerchio stava per chiudersi. Ho toccato il cielo con un dito. E’ una storia che ho raccontato anche nel documentario  di Giorgio Verdelli, La dinastia del liscio”.

Si può rinnovare il liscio?

“Si deve, ma sempre partendo dalle radici. E’ una tradizione da rinvigorire e la strada è proprio quella del meticciato, dell’incontro, della scambio tra esperienze differenti. Il liscio è nato così, era musica che metteva in contatto la mitteleuropa con le campagne romagnole. E così guarda adesso al futuro”.

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Circa l'autore

Pierfrancesco Pacoda

Critico musical e saggista, si occupa in particolare delle relazioni tra il suono e le trasformazioni sociali. Ha curato i testi di Tòtt a Balèr, insieme a Paolo e Marco Marcheselli sulla vita e l'arte di Leonildo Marcheselli. Scrive sul Resto del Carlino

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