Tratto dal testo di Roberto Leydi del retrocopertina del disco La tradizione del liscio in Emilia e in Romagna. 1952-1961: Registrazioni storiche ricavate dai dischi originali di Leonildo Marcheselli
Il termine “ballo liscio” è ormai largamente nell’uso, soprattutto nelle regioni settentrionali del nostro Paese, a indicare, in modo abbastanza preciso, una tradizione musicale e coreutica fondata sul valzer, la polka e la mazurka (ai quali si sono poi aggiunti il tango e lo one-step).
Non sappiamo chi abbia per primo definito “liscio” questo “genere”, ma “liscio” significa, molto correttamente e traducendo in lingua moderna e popolare un termine arcaico, “bassa danza”, in contrapposizione alla pratica antecedente dei balli “saltati”.
Il “ballo liscio” (ma, forse, trattandosi, per questi dischi, della sua tradizione in Emilia e Romagna, sarebbe giusto scrivere “lissio”, seguendo il vivo colore della parlata dialettale) incomincia a diffondersi, in ambiente popolare, nell’Italia settentrionale, nella seconda metà del secolo scorso. Il valzer, la polka e la mazurka erano giunti da noi nei decenni precedenti, dall’Austria, e avevano trovato le loro prime fortune in ambiente aristocratico e borghese, nelle grandi città. Poi, sempre più rapidamente la “moda” di questi balli nuovi e moderni, a coppia, che rompevano decisamente con le precedenti tradizioni dei balli figurati e dei balli saltati, si è andata diffondendo nelle città minori, nelle campagne e anche in montagna, prendendo il posto dei vecchi balli tradizionali che, o sono scomparsi, o sono diventati marginali.
La fase successiva nella pratica del ballo è stata quella delle danze che si sono venute sviluppando sui modelli nord-americani (dal fox-trot in poi, a partire dall’indomani della Prima guerra mondiale) e centro americani (dalla rumba in poi, a partire dalla metà degli anni Venti). Non è un caso che la “moda” del “liscio” si sia soprattutto imposta, in ambito popolare, dove già più forte e radicata, per molteplici ragioni, era la pratica del ballo, sviluppando stili, musicali e coreutici, locali, con legami con la tradizione precedente. Tra le regioni dove il “liscio” ha potuto imporsi con particolare “successo” e dar vita ad una nuova e vivissima tradizione effettivamente popolare troviamo l’Emilia, sia quella dei Ducati che quella delle Legazioni, e la Romagna.
Il “liscio” ha certo ancor oggi, in queste regioni, una sua forte presenza, ma il “genere”, negli ultimi anni, si è venuto profondamente modificando al seguito di nuove situazioni economiche e sociali e soprattutto di nuovi gusti, di nuove sensibilità. La musica leggera, via via imposta con sempre maggior peso dai mezzi di comunicazione di massa, ha influenzato in modo decisivo la musica del “liscio”, allontanandola dalla sua matrice originaria e appiattendola su modelli banalmente commerciali.
Ci è sembrato utile, allora, muovere verso il passato per ritrovare, in vecchi documenti sonori, il “liscio” di ieri e di ieri l’altro, quando questa musica ancora si proponeva come punti di passaggio tra la tradizione dei vecchi balli e quella dei nuovi, quando ancora erano presenti diversi e ben caratterizzati siti locali, quando la pratica musicale offriva chiara la partecipazione di esperienze e conoscenze diverse, di differenti provenienze (la tradizione violinistica popolare, la pratica bandistica, l’incontro con l’opera lirica e poi con l’operetta, il ricalco ricreato di esempi aristocratici e borghesi, ecc.).
Purtroppo non potremo proporre esempi del “liscio” delle “origini” perché i primi documenti registrati risalgono alla metà degli anni Venti, ma possiamo immaginare che i più vecchi di questi documenti disponibili conservino più d’un tratto, più di un elemento della pratica antecedente.
Questa serie di dischi nasce da una antecedente ricerca storica (e vanno ricordati in primo luogo i nomi di ricercatori quali Remo Melloni e Placida Staro) e di documenti sonori (dischi). Questi ultimi sono particolarmente importanti perché ci propongono il “liscio” di ieri nella sua piena realtà sonora. Si tratta di registrazioni effettuate a partire dalla metà degli anni Venti, con la presenza di musicisti e orchestre che hanno avuto un peso particolare nella definizione di alcuni stili “locali”, oggi o spenti o assolutamente marginalizzati dall’egemonia “romagnola”.
Le tradizioni documentate nella serie sono quella dell’area tra Parma e Reggio (con i “concerti” di strumenti a fiato, capostipite dei quali è stato il Concerto Cantoni, seguito poi dal Concerto Pinazzi e dal Concerto Casanova), di Bologna (con l’organetto bolognese quale strumento centrale e la “creatività” della famiglia Biagi prima, di Leonildo Marcheselli e dalla “filuzzi” poi), della Romagna (legata al nome di Secondo Casadei).
Purtroppo la tradizione violinistica di Santa Vittoria di Gualtieri (Reggio Emilia) non è stata, a suo tempo, fissata su disco e, quindi, noi, oggi, non possiamo “ascoltarla”, ma soltanto ritrovarla su documenti scritti, memorie orali, vecchie fotografie.
Ascoltare (o, per qualcuno meno giovane, riascoltare) oggi queste vecchie esecuzioni sarà, credo, motivo di emozione e di sorpresa, soprattutto a confronto con quello che, nella maggior parte dei casi, è oggi il “liscio”. La qualità musicale è molto alta e molto ricca la costruzione, quasi sempre assai lontana da quel modello “allegri campagnoli”, banale anche se sostenuto spesso da musicisti di indiscutibile bravura, che c’è poi commercialmente imposto a partire dalla Seconda guerra mondiale.
Una musica “nobile” che merita la nostra considerazione e merita anche l’attenzione degli studiosi.